17.1.12

Fosse Ardeatine, i tedeschi accusano: l'Italia insabbiò il caso

Nel Secondo dopoguerra diplomatici italiani e tedeschi hanno sabotato, per convenienza politica, la possibilità di incriminare i responsabili dell'eccidio nazista di 335 persone avvenuto alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. È questa l'accusa dello storico Felix Bohr, rilanciata dal settimanale Der Spiegel.
 Stando alla corrispondenza risalente al 1959 tra l'ambasciata tedesca a Roma e il ministero degli Esteri tedesco, ritrovata da Bohr nell'archivio dello stesso ministero (e che sarà pubblicata questa settimana sul sito clio-online.de), tanto Roma quanto Berlino avevano interesse ad «addormentare» la vicenda del massacro, come scrisse il consigliere d'ambasciata Kurt von Tannstein, membro del partito nazista dal 1933. Sono stati solo diplomatici dai trascorsi nazisti a occuparsi per parte tedesca dell'eccidio dopo la guerra, denuncia Bohr. Nel caso delle Fosse Ardeatine è stato il governo democristiano di Roma a prendere però l'iniziativa dell' insabbiamento. Si volevano evitare clamorose estradizioni, che avrebbero potuto indurre altri Paesi a chiedere lo stesso trattamento per i criminali di guerra fascisti, come ha scritto un diplomatico dell'epoca. Roma non intendeva inoltre né danneggiare le relazioni con il governo del cancelliere Konrad Adenauer (Cdu), né dare argomenti alla propaganda antifascista del Partito comunista. Iniziò così, nel 1948, l'insabbiamento dei documenti relativi alla vicenda presenti nella procura militare di Roma, un anno prima della riapertura delle indagini da parte dei procuratori, che dopo la condanna, nel 1948, del capo della Gestapo nella capitale, Herbert Kappler, indagavano su altri responsabili. Per l'eccidio due persone furono condannate all'ergastolo nel 1998, Karl Hass, oggi deceduto e il 98enne Erich Priebke.
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