Dunque la leggenda ritorna. L’oro dei nazisti buttato in fondo a un lago nel Brandeburgo, nel circondario di Oberhavel, a poco più di un’ora di macchina da Berlino, dagli uomini di Hermann Göring, fondatore della Gestapo e braccio destro di Adolf Hitler. L’unico uomo demoniaco forse quanto il Führer. Meno delirantemente visionario del Male Assoluto, ma più evidentemente venale. Un tesoro da un miliardo e mezzo di dollari – prelevati principalmente dalla banca centrale polacca – protetto da tredici metri di acqua nel tentativo di sottrarlo all’avanzata ormai inarrestabile dell’Armata Rossa. Era la primavera del 1945. Da allora le diciotto introvabili casse sono diventate il Santo Graal degli Indiana Jones dell’era moderna. Nessuno è riuscito a individuarle. Eppure il mito resiste. E con qualche buona ragione.
Un gruppo di uomini d’affari inglesi, stanchi della propria ricca noia priva di ambizioni, ha deciso di affrontare un’ulteriore spedizione nei fondali del lago Stolp, già inutilmente dragato nel 1981 dalla Stasi, il controspionaggio della Germania Est, in quegli anni padrona del territorio. Che cosa è cambiato da allora? Secondo il quotidiano tedesco «Bild», che ha rilanciato la notizia, le tecnologie di ricerca. Che andrebbero ad aggiungersi a una nuova mappa del tesoro.
Per scandagliare il fondale di quattrocento ettari, l’anonimo pool di milionari britannici avrebbe acquistato un sottomarino in una di quelle operazioni che consegnano all’idiozia la seduzione amabile dell’ingenuità. Un grande gioco. Un passatempo di lusso per trasformare la cronaca in storia. Hans Jürgen Heymann, direttore dell’ufficio di Eberswalde, il comune dal quale dipende il lago, spiega che se davvero gli inglesi vogliono cominciare la navigazione in ottobre «è il caso che si diano una mossa e che depositino la documentazione necessaria. Altrimenti non ci saranno i tempi per l’autorizzazione».
Sembra innervosito. È soltanto scettico. «Ogni due o tre anni i giornali rilanciano avventure come questa». Eppure la «Bild» aggiunge dettagli, anche se non abbastanza precisi. L’iniziativa del consorzio del Regno Unito si baserebbe infatti su documenti inediti trovati nell’archivio federale di Coblenza. Possibile? Difficile. Perché il dipartimento dedicato al «Reich», dove sono custoditi i dossier sul nazismo, si trova a Berlino. E lì il portavoce dell’Archivio spiega che «nessun nuovo file è emerso di recente».
Non basta. Quando nel 1981 Erich Mielke, capo della Stasi, decise di cercare il tesoro, si basò su una mappa fornitagli dall’ex reporter del settimanale «Stern» Gerd Heidemann, considerato un collaboratore della polizia segreta. Heidemann è lo stesso uomo che nel 1983 rivelò al mondo la sensazionale scoperta dei «Diari di Hitler». Un clamoroso falso. La ricerca di Mielke finì nel nulla. Lo Stolpsee era troppo vasto. E secondo il parroco del paese, Erich Köhler, «il fondo era troppo pieno di macerie scaricate dopo la guerra per consentire di trovare qualunque cosa».
Dunque anche la storia delle diciotto casse è solo un’improbabile favola per allocchi? No. Almeno a sentire Eckhard Litz, il testimone oculare che ha spinto gli inglesi all’azzardo. Magro e spigoloso come un mormone, viaggiando alla deriva su una vecchia poltrona di velluto chiaro, Litz ricorda quel giorno con una precisione da incubo infantile. Le immagini e i suoni gli rimbombano in testa in una tragica eco da valanga. «C’erano almeno trenta uomini, credo fossero schiavi polacchi. Erano magri e indossavano le uniformi dei reclusi dei lager. I soldati gli puntavano le armi addosso e li costringevano a caricare le casse sui gommoni. Per sei volte hanno fatto la spola. Arrivavano al centro del lago e buttavano giù». Quando finirono il lavoro i soldati li costrinsero ad allinearsi sulla riva. Hermann Göring, che pochi giorni più tardi sarebbe stato arrestato in Baviera mentre cercava di raggiungere l’Austria, diede l’ordine di farli fuori. «L’ultima cosa che vidi furono i lampi delle mitragliatrici che li rasero al suolo. Un rumore assordante di morte». Litz si nascose dietro un albero, finendo per sentirsi remissivamente vigliacco. Come se fosse colpa sua. «Se quel tesoro tornasse a galla finalmente mi sentirei leggero».
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